Dalla Corte costituzionale arriva il «pressante auspicio» rivolto al Governo perché «dia efficace attuazione ai princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione» scritti nell’articolo 18 della delega fiscale. Rimettere mano alla macchina della riscossione è urgente per superare «la grave vulnerabilità ed inefficienza, anche con riferimento al sistema delle notifiche, che ancora affligge il sistema».
I giudici delle leggi non potevano scegliere formule più dirette di quelle usate nella sentenza 190/2023 depositata ieri e redatta da Luca Antonini per indicare l’esigenza di ridisegnare in profondità il meccanismo utilizzato dal Fisco per provare a incassare le imposte che sfuggono ai versamenti spontanei.
L’occasione arriva da una questione di legittimità sollevata nel gennaio scorso dalla Cgt di Napoli sull’articolo 12, comma 4-bis del Testo unico della riscossione (Dpr 602/1973), modificato da ultimo con il decreto fiscale del 2021 (articolo 3-bis del Dl 146 di quell’anno). La norma limita le possibilità di impugnazione dell’estratto di ruolo, cioè delle cartelle di cui il contribuente viene a conoscenza solo “interrogando” le banche dati del Fisco, ai casi in cui «il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio» nei rapporti con le Pa, nelle gare d’appalto o nelle forniture che vengono liquidate solo dopo la verifica della «fedeltà fiscale» prevista dall’articolo 48-bis dello stesso Dpr 602.
Fuori da queste fattispecie, l’impugnazione diventa possibile solo quando arrivano gli atti esecutivi dell’amministrazione finanziaria.