La decisione della Corte di Cassazione è scaturita da un caso concreto in cui una lavoratrice, assistente amministrativa al MIUR, aveva avanzato richiesta di risarcimento danni a causa di presunti comportamenti vessatori da parte del personale dell’istituto.
La ricorrente ha presentato ricorso per cassazione articolato in tre motivi:
- In particolare, il primo motivo denuncia la violazione ed errata applicazione degli articoli 2087 e 2043 del codice civile, sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe valutato in modo errato la nozione di mobbing.
- Il secondo motivo di ricorso solleva la nullità della sentenza o del procedimento, criticando il rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per la genericità delle critiche mosse alla sentenza di primo grado. La ricorrente accusa anche la Corte territoriale di avere motivato in modo generico il rigetto della domanda di risarcimento del danno.
- Infine, il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata presenta una valutazione “atomistica” degli eventi, senza una considerazione complessiva delle prove e delle circostanze del caso.