Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli a causa dell’utilizzo dei permessi ex L. 104/1992, per finalità estranee all’assistenza dei genitori disabili ed anche in relazione alla proporzione tra tempo-assistenza e tempo-svago”.
La Cassazione precisa che la giurisprudenza ha già ammesso che l’assistenza che giustifica la fruizione del permesso non deve svolgersi nell’intero orario di lavoro giornaliero, ma nell’arco della giornata. E che nulla osta a che il lavoratore in permesso possa durante il giorno uscire dall’abitazione dove risiede il familiare sia per svagarsi brevemente sia per attendere a compiti di sostegno, come recarsi in negozi di prodotti sanitari o negli studi dei medici che curano il parente disabile.
La Suprema Corte nel confermare la pronuncia di merito che aveva accolto la predetta domanda, ritenendo non decisivi gli intervalli di tempo (di circa due ore) dedicati ad attività esulanti l’assistenza dei genitori – rileva, che il permesso retribuito previsto dalla L. 104/1992 è uno strumento di politica socio-assistenziale, espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave. Pertanto, non è giusta causa di licenziamento l’aver trascorso due ore al parco a leggere un libro nella giornata di permesso retribuito per l’assistenza di familiari non autosufficienti.
Il lavoratore che fruisce del permesso giornaliero ex art. 333 L.104/1992 non è inadempiente se si rilassa dal compito di assistenza del congiunto per un tempo che però di fatto coincide con l’orario di lavoro. Infatti, per dire che vi sia stato un comportamento sleale di inadempimento nella fruizione del permesso non rileva di per sé tale coincidenza. Ciò che rileva è che durante l’orario coperto dal permesso venga di fatto svolto il compito assistenziale che può, comunque, comprendere anche la possibilità di momenti di ripresa personale psico-fisica a fronte del gravoso onere di cura verso un familiare disabile e non autosufficiente.