La circostanza che il procedimento ex art. 32 d.l. 90/2014 è stato avviato per contratti pubblici diversi da quello stipulato con il Comune resistente e che la ricorrente abbia comunque manifestato espressamente la disponibilità ad ottenere la proroga del rapporto, disvela inequivocabilmente la volontà di celare la propria oggettiva incapacità a contrarre con la P.A.
Intenzione confermata dal contenuto della comunicazione del 6.5.2020 in cui si è richiamata, sviandola, l’attenzione della stazione appaltante sulla legittimità della prosecuzione del rapporto contrattuale. Il provvedimento di “interdittiva antimafia”, peraltro, determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la pubblica amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto colpito dall’interdittiva è preclusa la possibilità di avere rapporti con la pubblica amministrazione quando questi sono riconducibili a quelli indicati dall’art. 67, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 3/2018).
Tale evidenza ha correttamente imposto al Comune di rideterminarsi in relazione della proroga concessa operando il recesso dal rapporto contrattuale in essere. La decisione della stazione appaltante è stata sorretta da un oggettivo interesse pubblico, affatto sminuito dal principio di tutela dell’affidamento, pur invocato, da escludere attesa l’assenza di ogni profilo di legittimità o buona fede nel contegno tenuto dalla ricorrente. In tal senso è inequivocabile l’assenza di buona fede o correttezza nei rapporti intercorsi tra le parti, vista la finalità simulatoria che ha sorretto la comunicazione del 6.5.2020, e tale evidenza è in sé il motivo logico sufficiente che ha sorretto anche la segnalazione all’ANAC.
TAR Sicilia, sez. II, 9.4.2024 n. 1183