I comuni possono differenziare le tariffe della componente pubblicitaria del canone di concessione, autorizzazione e diffusione pubblicitaria (canone unico patrimoniale-CUP) in base alla tipologia degli impianti ed alla loro ubicazione.
Il comune avrebbe violato la disposizione dell’articolo 1, comma 817, della legge 160/2019, in base alla quale, con l’introduzione del nuovo canone unico patrimoniale, occorreva rispettare il principio dell’invarianza del gettito rispetto ai prelievi soppressi. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha invece correttamente ritenuto che il rispetto di tale limite deve essere verificato con riferimento all’intero cumulo dei canoni e/o dei tributi sostituiti dal CUP, facendo riferimento all’intero gettito rappresentato da tutte le esposizioni pubblicitarie effettuate nel comune.
Il Tar Lazio aveva invece erroneamente ritenuto violato tale limite semplicemente confrontando quanto dovuto dalla società ricorrente per la diffusione pubblicitaria oggetto di contestazione, con l’importo che sarebbe stato pagato in precedenza con il medesimo tipo di impianto. La norma del comma 817 costituisce invero una clausola di salvaguardia per le entrate del comune, ben potendo l’ente modificare anche in aumento le singole tariffe (come precisa lo stesso comma 817), garantendo comunque l’invarianza finanziaria.
Ciò per il necessario bilanciamento tra il principio della riserva di legge in materia di prestazioni imposte, che richiede la fissazione di un limite legislativo al prelievo, e l’autonomia finanziaria riconosciuta agli enti dagli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, da cui discende la facoltà degli enti di differenziare i prelievi.