Il recupero di emolumenti indebitamente erogati ai dipendenti pubblici è una questione regolata dall’art. 2033 del Codice Civile, che disciplina l’indebito oggettivo, e da una consolidata giurisprudenza. Di seguito vengono analizzati i principali aspetti normativi e giurisprudenziali.
Principi normativi: indebito oggettivo e obbligo di restituzione
L’art. 2033 c.c. stabilisce che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere quanto pagato, con eventuali interessi e frutti dal momento della domanda se il ricevente era in buona fede. Questo principio si applica anche ai rapporti di lavoro pubblico, imponendo alla Pubblica Amministrazione (PA) l’obbligo di recuperare le somme indebitamente corrisposte, indipendentemente dalla buona fede del dipendente percettore.
La giurisprudenza amministrativa e contabile ha chiarito che il recupero delle somme indebite costituisce un atto vincolato per la PA, finalizzato a tutelare il buon andamento economico-finanziario e l’equità nel trattamento dei dipendenti pubblici.
Decorrenza della prescrizione
Il termine di prescrizione per il recupero è decennale e decorre dal momento in cui l’indebito è stato accertato o poteva essere conosciuto con ordinaria diligenza (art. 2935 c.c.). Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che la buona fede del dipendente non sospende né interrompe la prescrizione.
Orientamenti giurisprudenziali
Buona fede del dipendente
La Corte di Cassazione (Sez. Lavoro, sentenza n. 4323/2017) ha affermato che la buona fede del dipendente non esclude l’obbligo di restituzione delle somme percepite indebitamente. La norma sull’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) non prevede eccezioni legate alla buona fede per il recupero delle somme principali, ma solo per gli interessi e i frutti.
Obbligatorietà del recupero
Il Consiglio di Stato (sentenze n. 2903/2014 e n. 7799/2023) ha ribadito che il recupero delle somme indebite è un atto doveroso per la PA, anche in assenza di dolo o colpa del dipendente. L’obbligo sorge automaticamente una volta accertata l’indebita erogazione.
Limiti al recupero
Nonostante l’obbligatorietà del recupero, alcuni orientamenti riconoscono che le modalità devono rispettare i principi di proporzionalità e tutela della dignità del debitore. Ad esempio, la Corte Costituzionale (sentenza n. 8/2023) ha sottolineato che le modalità di recupero devono garantire al debitore una retribuzione sufficiente a condurre un’esistenza dignitosa, prevedendo eventualmente rateizzazioni o dilazioni.
Errori contabili e automatismi
In caso di errori derivanti da sistemi automatizzati, alcune pronunce (Consiglio di Stato, sentenza n. 5315/2014) hanno evidenziato che il recupero può essere effettuato senza necessità di verifiche sullo stato soggettivo del percettore, purché entro un termine ragionevole dall’errore contabile[8].
Sentenza del TAR Campania (18 marzo 2025, n. 2266)
La Sezione I del TAR Campania, con una recente sentenza, ha ribadito che:
- La Pubblica Amministrazione deve recuperare gli emolumenti indebiti entro il termine decennale di prescrizione.
- La buona fede o il legittimo affidamento del dipendente non sono rilevanti quando il pagamento è privo di titolo o basato su errori evidenti.
- Non si configura una reformatio in peius del trattamento economico, ma una semplice rettifica conforme alla normativa.
- Gli errori di calcolo possono essere rilevati anche dal beneficiario, eventualmente con l’aiuto di esperti.
Conclusioni
La PA ha un obbligo vincolante di recuperare le somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, indipendentemente dalla buona fede degli stessi. Tuttavia, la giurisprudenza invita a bilanciare tale obbligo con il principio di proporzionalità, adattando le modalità di recupero alle condizioni economiche del debitore per evitare situazioni di grave disagio sociale.
A cura di Avv. Roberto Mastrofini