FONDO DI SOLIDARIETÀ COMUNALE 2023

SOCIETÀ PUBBLICHE E RAPPORTI DI LAVORO: NULLITÀ DELLE CLAUSOLE
DEI CONTRATTI INDIVIDUALI CONTRARIE A PRINCIPI DI ORDINE PUBBLICO ECONOMICO

Una recente sentenza del giudice del lavoro offre lo spunto per alcune riflessioni sistematiche rispetto a un tema – quello della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico – che presenta ancora margini di incertezza, anche in sede giurisprudenziale.

La vicenda prende le mosse dalla pretesa, formulata da un ex-dirigente di una società in house (nel frattempo, incorporata in altra società, sempre in house), licenziato nel 2014 per giustificato motivo oggettivo, con provvedimento non contestato, di ottenere il pagamento di una somma assai rilevante in applicazione di una clausola fissata dal contratto individuale di lavoro, stipulato nel 2005.
In particolare, il contratto di lavoro stipulato dalla società con il dirigente (a tempo parziale e indeterminato) prevedeva, in ogni caso di risoluzione anticipata dello stesso, il riconoscimento di un’indennità pari a cinque volte la retribuzione annuale, salvo il solo caso di risoluzione “per fatti dolosi del dirigente”.

Tale indennità andava, poi, ulteriormente incrementata del 50 per cento nel caso in cui la risoluzione fosse intervenuta anteriormente allo spirare del primo quinquennio di durata del rapporto.
In altri termini, la clausola, nella volontà delle parti, avrebbe dovuto trovare applicazione perfino nell’ipotesi di risoluzione per colpa grave del dirigente o, addirittura, per dimissioni volontarie dello stesso. Come sottolineato dal giudice adìto, “anche a fronte di un solo giorno di lavoro, il dipendente potrebbe rivendicare la corresponsione – a mezzo di denaro pubblico – di ben 5 annualità, oltre l’aumento del 50 per cento previsto per il caso di risoluzione prima dei 5 anni”.

A ciò si deve aggiungere che, sempre nella volontà originaria delle parti, le somme corrisposte a titolo di indennità avrebbero dovuto avere carattere risarcitorio (con ogni conseguenza, anche sul piano del trattamento fiscale) e non retributivo.
A fronte della richiesta del riconoscimento di tale indennità, formulata in sede giudiziale dal dirigente licenziato, la società incorporante (nuova datrice di lavoro) ha, quindi, contestato la pretesa, proponendo anche una nutrita serie di domande riconvenzionali, in larga parte fondate sul presupposto che al dirigente andava applicato non il c.c.n.l. di diritto privato (Federmanager) individuato con il contratto individuale di lavoro, bensì il contratto collettivo per il personale dirigente del comparto Regioni e autonomie locali (oggi, Funzioni locali). In ragione di ciò, allo stesso sarebbero state riconosciute illegittimamente voci retributive non previste dalla contrattazione di comparto, da restituire alla società stessa.

Al di là delle complesse e intricate vicende di fatto, delle considerazioni che si potrebbero fare sulla responsabilità e la performance di alcuni rami di dirigenza, fino a lambire risvolti di natura etica, per quanto di interesse, il giudice si è trovato ad affrontare una questione centrale e, cioè, se il rapporto di lavoro di un dirigente di una società in house sia indifferente rispetto al diritto pubblico, rimanendo interamente disciplinato dalle fonti tradizionali – formali e informali – del diritto privato (norme di legge, clausole del contratto collettivo e clausole del contratto individuale), ovvero se, ed entro che limiti, possano o debbano trovare spazio principi o norme di diritto pubblico o, più precisamente, di finanza pubblica o, ancora, come invocato dal giudice di Grosseto, di “ordine pubblico economico”.

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