La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12139 dell’8 maggio 2025, ha stabilito che l’azienda sanitaria locale deve risarcire l’infermiere adibito, non occasionalmente, a mansioni manuali di livello inferiore alla presenza dei pazienti, riconoscendo un danno all’immagine e alla dignità professionale.
L’infermiere, inquadrato in una posizione che richiede specifiche competenze scientifiche e professionali, è stato sistematicamente impiegato in attività manuali tipiche di figure professionali di livello inferiore, come gli operatori socio-sanitari (OSS)].
La Cassazione ha sottolineato che il demansionamento non può essere giustificato dalla carenza di personale di supporto: l’assenza o l’insufficienza di OSS non legittima l’assegnazione agli infermieri di mansioni inferiori in modo continuativo.
L’espletamento di tali compiti, soprattutto in presenza dei pazienti, genera una confusione di ruoli e mortifica la professionalità dell’infermiere, incidendo negativamente sulla sua immagine e dignità.
Principi giuridici affermati
Il demansionamento sistematico è illecito: L’infermiere ha diritto a svolgere le mansioni tipiche della propria qualifica, in linea con il livello di conoscenze e competenze richiesto dalla professione.
Danno all’immagine e alla dignità professionale: L’assegnazione continuativa a mansioni inferiori, soprattutto di natura prettamente manuale, comporta un danno non patrimoniale risarcibile, anche in assenza di una specifica prova del pregiudizio, potendo essere valutato equitativamente dal giudice].
Liquidazione del danno: Il danno può essere quantificato in via equitativa, spesso facendo riferimento a una percentuale della retribuzione mensile, tenendo conto della durata e della gravità del demansionamento.
Implicazioni pratiche
Le aziende sanitarie sono obbligate ad assumere personale di supporto e non possono “scaricare” sugli infermieri le carenze di organico di OSS o ausiliari.
L’infermiere che dimostri di essere stato adibito in modo non occasionale a mansioni inferiori può ottenere il risarcimento del danno all’immagine e alla dignità professionale, oltre alla reintegrazione nelle mansioni proprie del suo profilo.