In caso di abuso della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio per ottenere vantaggi indebiti, il reato di concussione (articolo 317 c.p.) richiede una condotta di violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” che limiti gravemente la libertà di autodeterminazione della vittima. Pertanto, non si configura concussione, ma induzione indebita, quando un assessore comunale sfrutta la sua posizione per costringere l’aggiudicatario di un appalto ad assumere una persona, prospettando problemi all’attività d’impresa.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9248/2025, ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello di Potenza, delineando la distinzione tra concussione e induzione indebita, che differiscono per gravità. Nel caso specifico, l’assessore comunale aveva costretto il gestore dell’appalto ad assumere il fratello della sua segretaria, dicendo “se vuoi lavorare tranquillo procedi all’assunzione”.
La Corte d’Appello aveva confermato la condanna per concussione, ma la Cassazione ha derubricato il reato a induzione indebita (articolo 319 quater c.p.), dichiarandolo poi estinto per prescrizione e revocando le statuizioni civili.
La Cassazione ha osservato che l’abuso di qualità può portare a due interpretazioni: totale soggezione del privato per timore di ritorsioni, oppure induzione a dare per ottenere favori. Per distinguere i reati, è necessario accertare se il pubblico ufficiale abbia esercitato una sopraffazione tale da porre la vittima in una condizione di coercizione (concussione), o se si sia instaurata una dialettica utilitaristica (induzione indebita).
La Cassazione ha concluso che per configurare l’abuso per costrizione, non è sufficiente qualsiasi condizionamento, ma è necessaria un’intimidazione oggettivamente idonea a determinare una coercizione cogente. La concussione presuppone pressioni tali da annullare la libertà di autodeterminazione della vittima.
Corte di cassazione, Sezione VI, con la sentenza n. 9248/2025