PUBBLICO IMPIEGO - DIFFERENZE TRA LAVORO DA REMOTO E LAVORO AGILE

PERSONALE – BUONI PASTO IN SMART WORKING

Sul buono pasto durante lo smart working decide la singola amministrazione pubblica.

I dipendenti pubblici in smart working non hanno diritto all’erogazione del buono pasto e le decisioni al riguardo sono rimesse alle determinazioni delle singole amministrazioni. Questa la conclusione a cui è giunto il Tribunale di Roma (sentenza 725/2023) in merito alla richiesta avanzata da una dipendente di vedersi riconosciuti 882 euro a titolo di buoni pasto anche per le giornate svolte in smart working.

Nel 2019, una amministrazione e i sindacati hanno sottoscritto un accordo sperimentale di smart working della durata di un anno e per una parte dei dipendenti, che prevedeva la non corresponsione del buono pasto in corrispondenza delle giornate di lavoro agile. Con la pandemia da Covid-19, scaduto l’accordo, l’amministrazione ha esteso lo smart working ad altri lavoratori e ha continuato a non corrispondere i buoni pasto.

Una dipendente, invece, riteneva che, concluso il periodo sperimentale, i buoni avrebbero dovuto essere riconosciuti in base all’articolo 51 del Ccnl riscossione e tributi, secondo cui spettano quando si effettua la pausa nella giornata. Sulla base di questo ragionamento ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti del datore di lavoro.

Secondo il Tribunale, però, l’articolo 51 riguarda i dipendenti che effettuano la pausa sul luogo di lavoro e in un arco di tempo ben definito, mentre quando si è in smart working si può organizzare la giornata senza limitazioni di spazio e tempo. Il giudice ritiene, inoltre, che la non corresponsione del buono pasto non confligga con l’articolo 20 della legge 81/2017, in base al quale, durante il lavoro agile, il trattamento economico e normativo non può essere inferiore a quello dei dipendenti presenti in azienda. Questo perché, richiamando la sentenza 1069/2020 del Tribunale di Venezia e la 31137/2019 della Cassazione, il buono pasto non ha natura retributiva ma assistenziale collegata al rapporto di lavoro «da un nesso meramente occasionale» e lo stesso viene corrisposto, in assenza del servizio mensa, per conciliare le esigenze di servizio e quotidiane del lavoratore.

Quando si lavora in smart working, secondo il giudice, «non è ravvisabile la necessità di fornire strumenti al fine di tutelare il benessere fisico del lavoratore, in quanto la sua attività è svolta presso il proprio domicilio e senza alcun tipo di vincolo temporale». Inoltre, per la sua natura assistenziale, il diritto al buono pasto «è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono».

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