Il settore della logistica è in prima linea nella lotta all’illegalità, soprattutto per quanto riguarda i complessi processi di esternalizzazione.
Strumenti come il reverse charge, i protocolli di legalità e le linee guida sono già attivi, affiancati dal tentativo di tradurre in legge il cosiddetto progetto cruscotto, un sistema di verifica documentale per selezionare operatori logistici in regola.
Anche la contrattazione collettiva gioca la sua parte: il recente rinnovo del CCNL Logistica, trasporto merci e spedizioni (6 dicembre scorso) ha integrato l’articolo 42, introducendo un vero e proprio sistema di “qualificazione della filiera”.
L’obiettivo è chiaro: creare un mercato virtuoso, selezionando imprenditori affidabili che garantiscano efficienza senza compromettere i diritti sociali, ed escludendo chi non rispetta la normativa lavoristica, previdenziale, fiscale e prevenzionistica.
La genuinità degli appalti: una condizione necessaria ma non sufficiente
Nonostante questi sforzi, la realtà della gestione degli appalti nel settore logistico rivela che tali misure, pur essendo necessarie (soprattutto in termini di responsabilità solidale del committente), non sono sufficienti a garantire la legittimità del processo di terziarizzazione.
Se da un lato è fondamentale intervenire sulla qualificazione degli operatori logistici (gli appaltatori) e sulla regolarità dei loro profili economici (retributivi, contributivi e fiscali), dall’altro lato non bisogna dimenticare che la genuinità dei contratti di appalto e subappalto segue regole ben precise. La loro assenza può celare fenomeni come l’interposizione di manodopera, la somministrazione illecita o fraudolenta, la creazione di “serbatoi di manodopera” o di “società filtro”.
La normativa di riferimento (articoli 1655 del Codice Civile e 29, comma 1, del D.lgs. 276/2003) stabilisce che un appalto è legittimo solo se l’appaltatore presenta almeno tre requisiti fondamentali:
- Autonoma organizzazione dei mezzi: l’appaltatore deve disporre (almeno giuridicamente) dei propri mezzi.
- Assunzione del rischio d’impresa: l’appaltatore deve farsi carico del rischio economico dell’attività.
- Esercizio dei tipici poteri datoriali: l’appaltatore deve avere autonomia direttiva, organizzativa e di controllo sul proprio personale.
La mancanza di anche uno solo di questi indici di genuinità può configurare, come dimostrato anche da recenti indagini della Procura di Milano, un presupposto per l’applicazione di schemi accusatori con possibili ricadute penali. Se gli appalti non sono genuini, infatti, le fatture ad essi collegate possono essere considerate illecite, emesse per operazioni giuridicamente inesistenti – i cosiddetti “pseudo-appalti”.
Il paradosso tecnologico: l’AI tra efficienza e rischio di illegittimità
In questo contesto, emerge un fenomeno sempre più rilevante, frutto del progresso tecnologico, che rischia di mettere in discussione la tradizionale valutazione della genuinità dei contratti di appalto: l’introduzione di nuove tecnologie e sistemi di Intelligenza Artificiale (AI). Questi strumenti, nati per efficientare i processi produttivi e ottimizzare i servizi nelle attività esternalizzate, potrebbero paradossalmente configurare un sistema illegale.
Mentre tali strumenti sono innegabilmente mezzi di lavoro e dovrebbero essere considerati (e valutati) alla stregua del requisito di autonoma organizzazione dei mezzi da parte dell’appaltatore, non si può ignorare l’incidenza che essi, se riferibili al committente, potrebbero avere sull’esercizio dei poteri datoriali (direttive, organizzazione e controllo) sull’appaltatore.
Stando agli orientamenti della magistratura e degli enti ispettivi, le interpretazioni attuali suggeriscono che più questi strumenti sono performanti, più potrebbero rendere gli appalti illegittimi (si vedano le pronunce della Cassazione 2 novembre 2021, n. 31127, del Tribunale di Padova 16 luglio 2019, n. 550, del Tribunale di Catania 4 novembre 2021, n. 4553, e dell’Appello Venezia, 30 marzo 2023).