Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12518/2025) ha recentemente chiarito che la riorganizzazione interna di un ente in dissesto finanziario, che porti alla soppressione di una posizione professionale e alla sua successiva messa a concorso pubblico, non costituisce di per sé mobbing o straining. Questa decisione traccia una linea netta tra le legittime attività datoriali e le condotte vessatorie.
La Corte di Cassazione, con la citata ordinanza, ha riaffermato che le definizioni di mobbing e straining sono primarily di natura medico-legale e servono a identificare comportamenti che violano la normativa sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Non si tratta, quindi, di figure giuridiche autonome, ma di indicatori di condotte potenzialmente illecite.
Mobbing e Straining: le differenze secondo la Cassazione
Il mobbing si configura in presenza di una pluralità di comportamenti pregiudizievoli e continuati, animati da un intento persecutorio nei confronti del lavoratore. La finalità è quella di vessare o emarginare la vittima.
Lo straining, invece, è caratterizzato da comportamenti stressogeni, anche se isolati o limitati nel numero, che causano un danno alla salute o alla situazione lavorativa del dipendente. A differenza del mobbing, può mancare l’intento persecutorio, ma è sufficiente che il datore di lavoro, anche colposamente, permetta il mantenimento di un ambiente lavorativo teso e logorante.
La Legittimità della Riorganizzazione in Caso di Dissesto
Nel caso specifico esaminato dalla Suprema Corte, un dipendente lamentava di essere stato illegittimamente privato della sua qualifica professionale, con il suo posto successivamente messo a selezione pubblica. Il lavoratore invocava la condanna del datore di lavoro per mobbing o, in subordine, per straining.
Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto che la soppressione della posizione professionale, avvenuta per esigenze finanziarie e nell’ambito di provvedimenti di risanamento di un ente in dissesto, rientrasse nella legittima attività datoriale. La decisione dell’amministrazione era basata su una decisione della commissione centrale per gli organici, finalizzata al risanamento dell’ente.
La Corte ha sottolineato che, se i pregiudizi per il lavoratore derivano da scelte obbligate e inevitabili legate a tali esigenze di risanamento, non si configura alcuna responsabilità datoriale per mobbing o straining. Tali azioni non possono essere considerate comportamenti stressogeni intenzionalmente attuati contro il dipendente, né atti persecutori.
Il Dovere del Datore di Lavoro e i Limiti della Responsabilità
Nonostante la pronuncia, resta fermo l’obbligo generale del datore di lavoro, in base all’articolo 2087 del Codice Civile, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. La responsabilità del datore di lavoro sorge quando le condotte sono arbitrarie, ingiustificate o vessatorie, e non quando sono dettate da oggettive esigenze organizzative o da obblighi imposti da una situazione di dissesto finanziario.
In sintesi, la Corte ha stabilito che:
- La riorganizzazione aziendale, anche se porta alla soppressione di posizioni lavorative e alla loro rimessa a concorso, è legittima se motivata da obiettive esigenze finanziarie e di risanamento di un ente in dissesto.
- Tali azioni, se non mosse da intento persecutorio o da comportamenti stressogeni arbitrari, non configurano mobbing o straining.
- Il datore di lavoro è responsabile solo se le condotte sono ingiustificate, arbitrarie o volte a ledere i diritti fondamentali del dipendente al di fuori di legittime esigenze organizzative.
Questa ordinanza fornisce un’importante chiarificazione per enti e aziende che si trovano in difficoltà finanziarie, offrendo un quadro più definito sulle possibilità di riorganizzazione del personale senza incorrere in accuse di condotte vessatorie.