La Cassazione chiarisce i limiti all’assunzione da parte della PA degli oneri legali per i propri dipendenti.
La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8683 del 2 aprile 2025, ha ribadito un principio importante in materia di rimborso delle spese legali sostenute dai dipendenti pubblici. L’obbligo per le amministrazioni di farsi carico di tali costi non è incondizionato e non scatta automaticamente per il solo fatto che il procedimento civile o penale riguardi attività svolte nell’esercizio delle funzioni.
Il Caso: Vigile Urbano assolto per falso in atto pubblico chiede il rimborso
La vicenda trae origine dal ricorso di un vigile urbano che chiedeva il rimborso delle spese legali affrontate per difendersi in un processo penale per il reato di falso in atto pubblico, conclusosi con una sentenza di assoluzione. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto la sua richiesta, ritenendo sussistente un potenziale conflitto di interessi con l’ente di appartenenza. Il ricorrente contestava in Cassazione tale interpretazione, sostenendo che la valutazione del conflitto non potesse essere astratta rispetto all’esito del giudizio penale e che l’assoluzione avesse definitivamente accertato l’insussistenza di tale conflitto.
La Decisione della Cassazione: l’Obbligo non è Incondizionato
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. La sezione lavoro ha sottolineato che l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di coprire le spese legali dei propri dipendenti, pur derivando dai principi civilistici, non è un diritto assoluto e incondizionato. Il legislatore e la contrattazione collettiva hanno bilanciato le esigenze economiche dei lavoratori con la necessità di contenere gli oneri a carico della pubblica amministrazione. Pertanto, non è sufficiente che il dipendente sia stato sottoposto a procedimento per fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni e che sia stata accertata l’assenza di responsabilità. È necessario verificare di volta in volta la sussistenza delle ulteriori condizioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva per l’accesso all’assistenza legale o al rimborso delle spese.
Il Nodo Cruciale del Conflitto di Interessi
La Cassazione si è soffermata in particolare sul concetto di conflitto di interessi. Ha chiarito che l’obbligo del datore di lavoro pubblico è di assumere direttamente gli oneri di difesa fin dall’inizio del procedimento, e non semplicemente di rimborsare le spese sostenute dal dipendente. Tale obbligo è subordinato a precise condizioni, tra cui l’assenza di conflitto di interessi, la diretta connessione dei fatti all’espletamento del servizio e l’affidamento della difesa a un legale di comune gradimento.
Elemento fondamentale evidenziato dalla Corte è che il conflitto di interessi è rilevante indipendentemente dall’esito del giudizio e dalla formula di assoluzione. Ciò significa che se il reato contestato al dipendente configura una fattispecie in conflitto con i doveri d’ufficio, tale da legittimare la costituzione di parte civile dell’ente, il conflitto sussiste a prescindere dall’eventuale assoluzione. Nel caso specifico, l’ipotesi accusatoria di falso in atto pubblico vedeva come soggetto passivo proprio il Comune, potenzialmente legittimato a costituirsi parte civile. La circostanza che tale costituzione non sia avvenuta e l’avvio di un procedimento disciplinare da parte dell’amministrazione per gli stessi fatti sono stati considerati elementi significativi. L’assoluzione, pur se piena, non elimina retroattivamente il conflitto di interessi esistente al momento dell’avvio del procedimento.
In conclusione, l’ordinanza della Cassazione ribadisce che la tutela legale dei dipendenti pubblici non è un automatismo legato all’esercizio delle funzioni, ma è subordinata alla verifica di specifiche condizioni, con un’attenzione particolare alla potenziale sussistenza di un conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza, la cui valutazione non è inficiata dall’esito finale del procedimento penale.